TeatroCounseling e Creatività

Questa pagina è una sorta di contenitore dove metterò informazioni e approfondimenti, insomma tutto ciò che può soddisfare alcune curiosità relative agli argomenti trattati nel sito: il TeatroCounseling, alcuni aspetti relativi a ricerche e studi di psicologia nel campo del benessere, e non ultimo il ‘teatro’ come mezzo per conoscersi e vedersi con maggior chiarezza.

Grazie alla mia formazione eclettica, che spazia dal teatro alla scrittura alla relazione d’aiuto in qualità di counselor, un tema a me molto caro è la creatività,

Atto creativo inteso come processo di scioglimento e di ‘liberazione’ da punti di vista sclerotizzati e dalla possibilità di fare esperienze nuove mettendosi in gioco attraverso percorsi che hanno l’obiettivo di portare le persone in uno stato di spontaneità e di conseguente creatività.

In definitiva il mio interesse è su come e quanto possa essere il binomio spontaneità/creatività portatore di benessere negli individui, in che modo si possa stimolare l’atto creativo in particolare negli adulti, ossia in individui con schemi mentali e di comportamento ben radicati.

L’argomento è davvero molto vasto, quindi inizio a trattarlo a piccoli passi, iniziamo dal primo.

Il concetto di creatività è andato sommandosi nel corso degli anni, ma l’idea centrale è rimasta sostanzialmente la stessa, si parla di immaginazione, genio, idea, tutti sinonimi per definire una proprietà umana unica e fondamentale.

Nonostante il pensiero creativo fosse conosciuto da moltissimi secoli, soltanto agli inizi del ‘900 è stato indagato in modo specifico e, con lo sviluppo della ricerca scientifica, la letteratura sull’argomento si è arricchita di nuovi spunti provenienti da diverse discipline.

Mi limiterò a trattare l’atto creativo inteso come processo psicologico, quindi non dal punto di vista dell’opera d’arte, o del ‘genio matematico’, ma dal punto di vista del benessere che apporta agli individui.

L’atto creativo, a volte, può assurgere a una funzione ‘curativa’ dell’animo umano, infatti, Dick Swaab (Professore emerito di Neurobiologia alla facoltà di Medicina dell’Università di Amsterdam, e del Max Planck Institute di Psichiatria a Monaco. É stato direttore dell’Istituto olandese di ricerca sul cervello.)

nel suo saggio ‘Il cervello creativo’ (Swaab, 2017) parla di come l’arte possa diventare una vera e propria medicina nelle cure di alcuni disturbi psichiatrici; non solo, e di come alcuni grandi artisti affetti da psicopatologie abbiano trovato un proprio modo di stare al mondo, convivendo con esse attraverso l’espressione della propria arte.

Dick Swaab si riferisce, soprattutto, all’arte pittorica che, attraverso il prodotto artistico, ad esempio un quadro, fissa in modo concreto e duraturo l’atto creativo dell’artista. Ma la cosa interessante è che chi si sofferma davanti a un dipinto può ‘provare’ lo stato d’animo del pittore.

L’autore sostiene che questo sia possibile grazie al meccanismo dei neuroni specchio. Ogni sguardo che si posa su una tela può dare l’avvio a un rinnovato spirito creativo, entrando in sintonia con lo stato d’animo del pittore. A tale proposito, riporto un passo dell’autore:

«Una lieve malinconia trasmessa da un’opera d’arte attiva l’amigdala destra. L’amigdala può essere attivata sia da volti molto attraenti che da volti repellenti. (..)Anche le reazioni empatiche svolgono un ruolo per quanto riguarda le emozioni suscitate dall’arte. Esse possono provocare nello spettatore piacere, angoscia o rabbia. Si ipotizza che i neuroni specchio della corteccia premotoria ventrale e della parte posteriore della corteccia parietale medino la reazione empatica dello spettatore di fronte all’opera d’arte. In tal modo, si trova ciò che il pittore voleva comunicare: le emozioni che lo dominavano mentre dipingeva quel quadro.» D.SWABB, Il cervello creativo – Come l’uomo e il mondo si plasmano a vicenda, (Roma), Castelvecchi ed.,

Lo stesso può verificarsi attraverso performance teatrali. Analizziamo la performance dell’artista Marina Abramovic “The Artist is present”, in cui l’artista fa parte dell’opera d’arte, così come chi si siederà di fronte a lei. (Performance andata in scena al Moma di New York dal 14 Marzo al 31Maggio 2010. L’artista Marina Abramovic è rimasta seduta sei giorni su sette, per 7 ore al giorno.)

L’installazione, infatti, prevede due sedie disposte una di fronte all’altra. Su una è seduta l’artista, che resterà lì per tutte le sette ore della durata della performance, sull’altra posizionata davanti a lei si siederà, a turno, una persona del pubblico.

Le emozioni che scorrono in chi si siede di fronte all’artista sono evidentissime, spesso assistiamo a commozione profonda, imbarazzo, stupore e altro, e questo si nota anche in chi resta fuori e assiste alla performance come semplice spettatore. Ogni incontro, occhi negli occhi, avviene nella quasi immobilità dell’artista; il contatto è soltanto oculare (è vietato toccarsi) tra lei e la persona che si siede su quella sedia vuota.

In quell’incontro senza parole accade qualcosa di profondamente creativo, che genera un cambiamento, innescando degli scambi di energia palpabili anche dal fruitore più scettico. La performance teatrale avvia un processo di stupore e di conoscenza di sé nel semplice rispecchiarsi negli occhi dell’altro, all’interno e all’esterno del binomio artista-avventore che diventa ‘co-creatore dell’azione’.

Ho preso ad esempio la performance di Marina Abramovic, perché traghetta le parole di Dick Swabb dall’arte pittorica a quella teatrale, dove l’azione drammatica porta a essere ‘attivi’ sia attraverso il movimento del corpo, sia attraverso la parola. La semplice opportunità che il teatro offre, attraverso l’azione drammatica, può essere di grande aiuto per portare alla luce e far agire parti di sé, che altrimenti non avrebbero modo di esprimersi, immerse nei ruoli cristallizzati e nei cliché della vita quotidiana.

Trovo particolarmente stimolante sapere che la facoltà creativa, che ci accompagna per tutta la vita nel risolvere piccole e grandi cose, sia frutto di un miglioramento evolutivo (e purtroppo anche di qualche peggioramento, nel momento in cui l’uso di una scoperta venga utilizzato non a fini costruttivi) connaturato all’essere umano e che, semmai questa facoltà creativa dovesse scomparire, l’individuo perderebbe il senso fondante della sua vita.

Anche Moreno, quando diede vita al “Teatro della Spontaneità” (Forma di teatro creato da Moreno a Vienna intorno agli anni venti, in cui gli attori mettevano in scena i drammi proposti dal pubblico, o fatti di cronaca tratti dai quotidiani, dando vita al ‘Giornale Vivente’), non aveva come obiettivo la rappresentazione di testi comici o drammatici, ma di rappresentare la vita del presente, di ciò che accadeva in quel momento, sotto forma di conflitto personale o sociale, con l’intento di rappresentare un agire spontaneo e creativo, perché, sempre secondo Moreno, solo la spontaneità e creatività promuovono la catarsi e la liberazione dal conflitto sia in chi lo agisce in scena sia nello spettatore. Da questo si evince come l’atto creativo stesso abbia una valenza ‘rigenerante’.

L’atto creativo, inoltre, porta in nuce un elemento rivoluzionario, essendo portatore del ‘nuovo,’ del non conosciuto che, in quanto tale, potrebbe ribaltare punti di vista e perfino lo stato delle cose. Infatti, in tutte le dittature, il mondo dell’arte, dal teatro alla pittura, vengono represse, censurate e possibilmente controllate; in particolar modo lo è il teatro che, attraverso l’azione e la parola, può essere un amplificatore di ideali e di proteste.

Per ora mi fermo qui.